Diego come Prometeo, portatore di luce punito dagli dei

In molti hanno sempre considerato Diego Maradona alla stregua di una divinità, a maggior ragione dopo la sua morte: in Argentina c’è la Chiesa Maradoniana, a Napoli si trovano vari tabernacoli a lui dedicati nelle strade del centro, in tutto il mondo semplicemente si trasforma il soprannome “El Diez” in “D10S”.

Ma che tipo di divinità può essere uno che faceva indubbiamente dei miracoli in campo, ma senza mai rinunciare al proprio lato umano? Probabilmente la divinità che ha più punti di contatto con Diego è il Titano Prometeo, figura della mitologia greca, un dio che avrebbe potuto godere tranquillamente del suo status, ma preferisce invece lottare a favore degli uomini finendo per inimicarsi gli dei. Il primo punto di contatto è la dualità del Titano rispetto al suo gemello Epimeteo, con gli stessi nomi a rilevare le qualità dei due fratelli: Prometeo è “colui che riflette prima”, il gemello è “colui che riflette dopo”, cioè agisce con avventatezza. Nel film di Kapadia è ben spiegato il dualismo tra Diego, un giovane ragazzo povero che trova nel calcio la possibilità di comprare una casa ai genitori e mettere su famiglia e il suo alter ego Maradona, il divo mondiale conteso da tutti e da cui tutti vogliono ottenere qualcosa, finendo per rovinargli la vita.

Il primo episodio in cui Prometeo si schiera dalla parte degli uomini è un banchetto a cui l’umanità è invitata a partecipare insieme agli dei: in questa occasione Prometeo nasconde le parti migliori di un bue nella pelle avvizzita e copre le ossa con grasso lucente, per trarre in inganno Zeus, che infatti sceglie le ossa e lascia inconsapevolmente la carne agli uomini. Come non vedere un’analogia di questo episodio con la famosa “mano de dios”, che irride il potente Impero Britannico che ha occupato le Malvinas e vendica i caduti argentini con l’unica arma a disposizione di una nazione più debole, l’astuzia? È proprio in seguito a questo episodio che Zeus infuriato decide di punire gli uomini togliendo loro il fuoco e condannandoli a una vita al buio e al freddo. Prometeo, ancora una volta incurante delle conseguenze delle sue azioni, si reca di nascosto nell’antro di Efesto (il dio Vulcano della mitologia romana che rimanda naturalmente al Vesuvio) per rubare una scintilla e portarla agli uomini, donando loro l’accesso al fuoco. Quando Zeus si accorge del furto e dell’affronto che gli è stato fatto punisce Prometeo facendolo incatenare ad una roccia, mentre un’aquila gli divora il fegato che ricresce di notte per prolungare il supplizio in eterno.

Come Prometeo, che ruba una scintilla ad Efesto per donare il fuoco agli uomini, Maradona ruba agli dei la scintilla della sua abilità restituendo all’umanità il fuoco del divertimento

Le analogie con Maradona sono davvero molte: la divinità del calcio che ruba agli dei la scintilla della sua abilità sublime e restituisce all’umanità il fuoco del divertimento, ma anche l’orgoglio agli argentini dopo la sconfitta delle Malvinas e ai napoletani la voglia di rivincita dopo gli anni bui del post terremoto.

Ma come in tutte le tragedie greche l’eroe è vittima del fato e delle proprie scelte. E così come per Prometeo, nonostante le migliori intenzioni, la vita professionale e umana di Maradona è stata una continua serie di cadute seguite da incredibili risalite, proprio come un fegato divorato che miracolosamente ricresce, in un supplizio senza fine. Il passaggio celebrato al Barcellona, una delle squadre più forti d’Europa, seguito da una serie di interruzioni, prima per un’epatite virale e poi con la caviglia magica, la sinistra, devastata da un fallo criminale di un difensore dell’Athletic Bilbao. Il recupero a tempi record e poi la definitiva rottura con l’ambiente catalano nel quale non si era mai sentito a proprio agio.

Nel corso degli anni nel Napoli e nella Nazionale argentina le grandi vittorie costellate da mille piccoli infortuni, sempre rattoppati con infiltrazioni di antidolorifici, perché doveva sempre essere in campo, anche azzoppato, per far paura agli avversari e regalare magie anche da fermo. La lotta contro il proprio metabolismo e le proprie dipendenze ed i continui recuperi di forma, ogni volta che si avvicinava un mondiale, con un’incredibile forza di volontà che prevaleva sulla natura e la debolezza del corpo.

Diego Maradona è il più grande ed il più amato degli eroi epici moderni perché ha vinto sempre “nonostante”

Dopo il ritiro mille cadute, l’obesità, un infarto, l’artrosi, un edema subdurale e ogni volta la forza di rinascere, di rialzarsi e ripartire da una nuova sfida. Diego Maradona è il più grande ed il più amato degli eroi epici moderni perché ha vinto sempre “nonostante”: nonostante non giocasse nelle squadre più forti, nonostante gli infortuni, nonostante le dipendenze, nonostante i limiti del proprio corpo. E come i miti greci è amato proprio perché unisce divinità a umanità, virtù a vizio, vittoria a sconfitta, con la capacità di rialzarsi da tutte le cadute, tranne dall’ultima del 25 novembre 2020.

Ma il mito di Prometeo è ripreso anche da Leopardi nell’operetta morale “La scommessa di Prometeo”, in cui il Titano scommette con il suo amico Momo, sostenendo che il genere umano sia la migliore opera mai realizzata dagli dei e per provarlo si reca in cinque luoghi del mondo abitato alla ricerca delle prove che l’uomo è la più perfetta creatura dell’universo. Purtroppo, dopo aver visitato solo tre dei cinque luoghi stabiliti, Prometeo paga la scommessa all’amico, di fronte all’evidenza della pochezza del genere umano. È un po’ come se Maradona avesse avuto la possibilità di leggere in questi giorni certi vigliacchi commenti sulla sua vita da parte di molti che neanche lo hanno mai conosciuto, ma si arrogano comunque il diritto di emettere sentenze senza appello, dal loro rancoroso e misero pulpito, solo per dare un minuto di notorietà alle loro squallide vite.

Grazie Diego, Titano del calcio, per aver rubato per noi la scintilla, grazie per averci donato il fuoco e perdonaci per non aver mai capito fino in fondo il terribile supplizio a cui sei stato condannato da divinità ingiuste, infuriate perché eri sempre dalla parte dei più umani degli uomini.