Esame di maturità 2020, tra Kafka e Philip K. Dick

Esame di stato (la maturità), c’è grande preoccupazione nei quotidiani, nelle redazioni delle testate giornalistiche televisive: quest’anno niente titoloni sul tema d’italiano oppure per la versione di greco al classico (corso di studi che rappresenta il tre per cento delle scelte dei ragazzi ma ruba sempre i titoli di testa). Quest’anno lo scritto non si fa. Nel tempo del Covid19 tutto è diverso. Cambierà anche il ritornello della “notte prima degli esami”? Sarà una notte tranquilla?

Per il momento è proprio la fase dell’epidemia che desta le maggiori preoccupazioni.

Molteplici le raccolte di firme di chi, studenti e docenti, questo esame in presenza non lo vuole fare. D’altronde è lecito domandarsi: ma tutto questo entusiasmo ministeriale sulla didattica a distanza, come elemento di grande novità, come mai si spegne proprio nel passaggio cruciale?

Nel tempo del Covid cambierà il ritornello della “notte prima degli esami”?

Le università italiane ce ne hanno dato dimostrazione: sessioni di laurea ed esami a distanza, senza pensarci troppo su. I burocrati del ministero smentiscono loro stessi. Si potrebbe pensare che i docenti siano dei fifoni e che non vogliono l’esame in presenza per banale paura.

A parte la doverosa constatazione che il “parco” docenti italiano è tra i più vecchi del mondo (quindi maggiormente a rischio), quel che più infastidisce gli insegnanti è il fatto che si sentono presi in giro per l’ennesima volta.

L’applicazione dei protocolli di sicurezza, se ci fosse stata la volontà di allinearsi a quelli imposti agli altri luoghi di lavoro, avrebbe comportato delle spese, cosa alla quale i vari governi si dimostrano allergici: da decenni a questa parte la scuola è il luogo dove, quando va bene, non bisogna investire e, quando va male, bisogna tagliare (vedi Gelmini e altri).

Quel che dà fastidio è il gioco dello scaricabarile. Nell’impossibilità di applicare rigorosamente i protocolli, al ministero si sono inventati l’Autodichiarazione: si dovrebbe autocertificare di non avere la febbre (così risparmio sulla misurazione in presenza), di non avere avuto sintomi pericolosi nei giorni precedenti l’esame, di non essere entrati in contatto, per quanto a conoscenza del povero docente, con persone che avevano sintomi Covid.

È chiaro a tutti che, a questo punto, è entrato in scena Kafka. Qualcuno si chiede:

a) nel caso in cui si presenti un docente un po’ burlone che dichiarasse di aver avuto 37,5 di febbre due giorni prima cosa accadrebbe? Il presidente dovrebbe bloccare l’esame e sostituirlo e, con i chiari di luna che corrono, se ne passerebbe una settimana;

b) come si fa a dichiarare di non aver incontrato alcun infetto se in giro ci sono gli asintomatici? Lo stesso docente burlone potrebbe apporre la seguente firma in calce: il sottoscritto dichiara che, molto probabilmente, nome e cognome sono proprio i suoi.

Mi appello ai lettori: vi appare normale tutto ciò?

Qualcuno svolgerà indagini per scoprire se nel passato il prof ha avuto la febbre, tornando indietro con la macchina del tempo

L’opposizione dei docenti a questa trovata del ministero nasce per salvaguardare la propria dignità: si sono laureati, qualcuno ha fatto dottorati, si è specializzato (master, seminari, webinar e non webinar), ha superato concorsi e controconcorsi per fare cosa? Autocertificare ciò che è incertificabile?

Se il docente dichiara: due giorni fa ho avuto la febbre, chi svolgerà le indagini nel passato per sapere se dice la verità? Chi misurerà nel presente la febbre del docente dopo due giorni? Ecco che da Kafka si passa alla fantascienza: la soluzione è semplice, direbbe Philip K. Dick, basta procurarsi una macchina del tempo.

Arrivato fin qui, e per ragioni di brevità, non ho nulla da aggiungere se non farvi notare che tutto è stato architettato per risparmiare sui test sierologici e sui termometri.

A voi il giudizio.