Guerra, quel “voi” di Primo Levi che incolpa noi

È da giorni che ripenso alle parole di Primo Levi: «Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici…». Ci penso e ci ripenso e mi sento in colpa!

Sí, mi sento colpevole di non aver capito veramente e profondamente quelle parole fino ad oggi.

Tutti abbiamo studiato gli orrori della seconda guerra mondiale, tutti abbiamo assimilato le immagini spaventose dei campi di concentramento, la crudeltà impensabile a cui può arrivare un essere umano. Abbiamo visto film, documentari. Abbiamo partecipato a incontri culturali. Abbiamo letto libri. Alcuni, come me, hanno sentito racconti reali di una vita vissuta in quei tempi: mia nonna aveva una cicatrice sulla fronte, essendo rimasta ferita sotto i bombardamenti. Credevo (credo) di essere sensibile, di “conoscere” quelle tragedie, pur se solo tramite dei racconti. E invece non è così. E la cosa che più mi spaventa e la domanda che continuo a farmi è questa: allora i racconti non bastano a capire veramente cosa sia la guerra?

Certamente non bastano ad insegnare agli uomini a non ricadere negli stessi errori. Forse bastano solo a dare per scontata una pace che scontata non lo è per niente.

Mi devo spiegare meglio, perché so che così sono solo pensieri confusi e poco chiari. Soprattutto scontati e retorici.

Sono almeno dieci anni che una signora (simpatica, intelligente, curiosa, cocciutissima e infaticabile) lavora per un paio di giorni a settimana a casa mia. Mariya. Una donna tenace, che ha messo da parte i suoi soldi, veramente faticati, per comprare la casa a due figlie, ormai sposate con bambini piccoli. È ucraina.

Una quindicina di giorni fa, sentendo le narrazioni di escalation militare nei telegiornali, le ho chiesto cosa ne pensasse. Lei mi ha risposto: «Sono otto anni che da noi è così, voi ora ve ne state accorgendo?» Non sembrava preoccupata, come se avere i carrarmati alle porte fosse ordinaria amministrazione. Poi, la mattina dello scoppio della guerra, mi ha detto che la casa che aveva comprato con i soldi di una vita era proprio in uno dei primi paesini bombardati da Putin e che le figlie stavano decidendo se scappare o restare. Dopo due giorni mi ha detto che sono fuggiti e ora sono al confine. Sono scappati di notte, prendendo solo uno zaino. Tutti insieme, in un’unica macchina. I bambini piccoli incappottati alla meglio per affrontare il gelo. Gli uomini, però, ormai non possono più varcare il confine, perché c’è la chiamata alle armi. Le sue figlie non riescono a decidere se abbandonare i mariti, anche perché i figli vogliono restare con i loro papà. Sono bloccati nel nulla, tra i boschi, al freddo. Le due donne sono dilaniate tra la scelta di lasciare tutta la loro vita e una parte dei loro amori e quella di salvare se stesse e gli “altri” amori, i figli.

Il giorno dello scoppio della guerra in Ucraina, Mariya mi ha detto che la casa che aveva comprato con i soldi di una vita sorge in uno dei primi paesini bombardati da Putin e che le figlie non sanno se restare in ucraina con i mariti o scappare per mettere in salvo i bambini

Mariya li aspetta, tormentata. Aspetta le loro decisioni, senza aprire bocca: dice che sono loro a dover decidere. Più di una volta, in questi giorni, mi ha detto: «Voi non potete capire!»

È questo che mi fa sentire in colpa: lei ha ragione, noi non possiamo capire.

Io posso partecipare. Posso mettere da parte i vestiti di mio figlio, giochi, lenzuola, materassi, medicine. È tutto pronto e a disposizione se dovessero servire. Mando sms di beneficenza.

Ma sono qui, nella mia casa, calda e accogliente, in una parte di mondo che non immagina cosa sia la guerra e che pensa che non esista più. Vivo in quella parte di mondo in cui ci sono persone che ammiccano a Putin, o che essendo sempre state di sinistra proprio non ce la fanno ad esprimere un giudizio negativo sulla Russia. Sono in quella parte del mondo dove ci si può permettere di “fare filosofia”; dove si continua a viaggiare per andare in vacanza; dove si può fare shopping; dove i bambini fanno sport e vanno a scuola normalmente.

Noi siamo quelli che si sentono tranquilli e addirittura migliori solo perché più sensibili di altri, perché abbiamo sempre fatto lotte per i diritti civili, perché abbiamo insegnato il rispetto per tutti gli esseri umani senza distinzioni, o perché aborriamo la guerra, tramandando il ricordo del dolore, delle sofferenze, della crudeltà altrui. Lo abbiamo fatto e lo continuiamo a fare e va bene così, ma la verità è che quel “Voi” di Primo Levi, come quello usato da Mariya, è riferito a “Noi”. E noi non possiamo capire!

Sono in quella parte di mondo in cui ci si può permettere di “fare filosofia”, e perfino di ammiccare a Putin. La verità è che hanno ragione Levi e Mariya: «Noi non possiamo capire»